Buon lunedì, lettori!
Oggi esce Se ti accorgessi di me di Sharon Huss Roat, un young adult che tratta di social network, identità fittizie e problemi sociali.
Se ti accorgessi di me
di Sharon Huss Roat
Newton Compton
€ 4,99 (ebook) € 9,90 (cartaceo)
Amazon | Goodreads
In uscita oggi, 29 gennaio 2018
L’ansia sociale di Vicky Decker l’ha spinta a elaborare complicate strategie per passare inosservata e non essere mai al centro dell’attenzione. L’unica con cui riesce a essere se stessa è la sua amica Jenna. Quando Jenna si trasferisce, però, Vicky rimane completamente sola e per combattere quell’isolamento ormai insostenibile, decide di creare una falsa identità sui social, ritoccando le foto di altre persone come se fossero sue e postandole sul profilo Instagram @vicurious. Improvvisamente comincia ad avere dei follower e ben presto si ritrova a vivere una vita parallela, senza nemmeno aver lasciato la sua cameretta. Ma più cresce il numero dei follower e più le diventa chiaro che ci sono moltissime persone, là fuori, che si sentono esattamente come lei: #sole e #ignorate nella vita reale. Per aiutare loro, e se stessa, dovrà rendere la sua realtà virtuale molto più reale…
Estratto
In piedi accanto al mio armadietto, riesco già a sentire le chiazze di sudore che mi si stanno formando sulla maglietta. “Non le vedrà nessuno”, mi dico – non attraverso l’enorme maglione che indosso o sotto il mio quasi impenetrabile muro di capelli.
Mi scosto dalle ascelle il maglione lavorato a maglia, di uno scialbo tono di giallo. Mia madre mi ha lanciato un’occhiata desolata, stamattina, e ha cercato di non dire quello che probabilmente stava pensando: e cioè che vestita come un enorme grumo di senape non vincerò nessuna gara di popolarità.
Invece ci ha scherzato su. «Sei lì dentro?». Poi, mentre mi spalmava proprio la senape sul sandwich, si è quasi fermata, gli occhi che guizzavano dal barattolo al maglione.
Davvero sottile…
Sono perfettamente consapevole del fatto che questo non sia il colore più adatto a me, dal momento che non fa risaltare i miei occhi nocciola e non mi aiuta a spiccare in mezzo alla gente. In effetti, questa particolare tonalità giallino-marroncina si abbina alla perfezione sia ai miei capelli che alle pareti della nostra scuola. Ed è esattamente il motivo per cui la sto indossando: se la sfida in cui mi sto per lanciare andrà male, potrò confondermi con ciò che mi circonda e sparire prima che qualcuno se ne accorga.
È stata la mia migliore amica, Jenna, a convincermi. La scorsa notte abbiamo parlato su FaceTime, ognuna dalla propria stanza – la mia dove si trova da sempre, la sua nel lontanissimo Stato del Wisconsin, dove abita ora. Sua madre ha trovato un ottimo lavoro lì, quindi la famiglia si è trasferita a metà agosto, qualche settimana prima dell’inizio del secondo anno.
«Sono preoccupata per te», mi ha detto.
Io non sono inquadrata, quindi l’unica cosa che riesce a vedere è la mia gatta, Kat, raggomitolata sul letto in una tigrata palla di pelo.
«Sono passati due mesi». Jenna ha avvicinato ancora di più il volto allo schermo e mi ha sussurrato: «Hai parlato con qualcuno da due mesi a questa parte?»
«Ho parlato con te».
«Con una persona vera, dico».
«Tu non lo sei?»
«Lo sai cosa intendo». Ha inclinato il cellulare e lo ha posato su una cassettiera, regalandomi quindi una panoramica della sua nuova camera da letto, che ho odiato per principio. «Un vero essere umano, di persona! Che non siano i tuoi genitori. E gli insegnanti non contano».
Cerco di ripensare all’ultima volta in cui ho parlato con qualcuno a scuola, a parte l’aver borbottato “scusa”, quando urtavo contro qualcuno, o l’aver detto “salute” quando la persona accanto a me starnutiva. Per quanto io possa ricordare, Jenna è stata l’unico essere umano con cui io abbia mai parlato. Quando si trattava di comunicare con qualcuno, è stata sempre lei a parlare per entrambe, anche se la domanda era rivolta a me. Io esitavo e lei si precipitava a rispondere. Noi siamo così. Io le ho sempre allacciato le scarpe: ero più brava a farlo, quindi lei non ha mai imparato davvero e adesso acquista solo scarpe con la fibbia, la chiusura lampo o mocassini.
Io non parlo..
«Tutto quello che devi fare è dire “ciao”», ha continuato Jenna. «È così che siamo diventate amiche, no? Tu hai detto “ciao” e il resto è storia».
«Avevo cinque anni», le ho risposto. «Non sapevo dire di meglio».
Lei è scoppiata a ridere. «Allora fai finta di avere ancora cinque anni: sei seduta a gambe incrociate sull’erba, masticando uno stecchino da ghiacciolo, quando una ragazzina con una frangia terribile esce da casa e attraversa la strada. Sembra che qualcuno le abbia tagliato i capelli con un machete. Di’ “ciao” a quella povera disgraziata».
«Non è così facile, mi conosci», ho sospirato io.
Il suo volto ha nuovamente riempito lo schermo. «Ti conosco perfettamente, ecco perché hai bisogno di farlo, altrimenti sarai sola e infelice per il resto delle superiori. Nascosta nella toilette, probabilmente».
Mi conosceva.
Quindi ho promesso che oggi, a scuola, saluterò qualcuno. E il qualcuno che ho scelto di salutare è Hallie Bryce. Il suo armadietto è accanto al mio, il che la rende a portata d’orecchio ogni qualvolta le mie corde vocali partoriscono un suono di qualche tipo.
Non dovrò fare niente né avvicinarmi a nessuno.
Mi schiarisco la gola per assicurarmi che faccia ancora il suo lavoro e proprio in quel momento vedo il perfetto chignon da ballerina di Hallie scivolare lungo il corridoio verso di me. Sento immediatamente il cuore martellarmi nelle orecchie.
Raggiunto il suo armadietto, si inchina per inserire la combinazione. Be’, non è proprio un inchino quello che sta facendo: il termine adeguato è grand plié, cosa che ho appreso dal suo profilo Instagram, pieno zeppo di fotografie di danza classica. Nella maggior parte di queste immagini è ritratta sulle punte in luoghi in cui di solito non si troverebbe una ballerina: su un albero, sulla spiaggia, davanti a un panorama di degrado urbano… Io non la seguo. Insomma, non ho cliccato su “segui”: sono più il tipo di persona che si nasconde nell’ombra… Non in senso losco, direi più in modalità “ammirazione da lontano” o “vorrei essere come lei”.
Insomma, eccola accanto a me che fa il suo inchino che sa di plié. Tutto quello che devo fare, per terminare la mia missione, è dire una minuscola parola. Non sto nemmeno pensando a un “salve” o a una cosa folle del tipo “come stai?”.
Solo “ciao”.
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A presto,
Leen